UN LUPO MANNARO AMERICANO A LONDRA, John Landis, 1981
“Trovo che nell’horror ci sia molta più comicità di quanto si crede”
– John Landis
All’apice della sua carriera ad Hollywood, dopo due commedie di grande successo come Animal House del 1978 e The Blues Brothers del 1980, John Landis decide di dedicarsi alla realizzazione di un film horror senza abbandonare però la sua cifra stilistica oltremodo demenziale e parodistica che lo ha reso celebre.
Il film in questione non rappresenta l’unica incursione nel genere horror da parte del regista. Troviamo agli inizi della sua carriera Schlock del 1971, una parodia dissacrante del mostro King Kong; per continuare poi con i più recenti Innocent Blood del 1992 e Burke e Hare del 2010. Da non dimenticare i due episodi presenti nella serie antologica Masters of Horror intitolati Deer Woman del 2005 e Family del 2006. Michael Jackson decise, dopo aver visto Un lupo mannaro americano a Londra, di contattare Landis per dirigere il suo video musicale Thriller (per chi fosse curioso vi consiglio l’interessante documentario Making Micheal Jackson’s Thriller di Jerry Kramer del 1983).
Un lupo mannaro americano a Londra ci racconta le vicende di un ragazzo americano che durante una vacanza in una brughiera inglese viene aggredito da un mostro con le sembianze da lupo. Dopo aver assistito inerme al massacro del suo amico, Jack dovrà fare i conti con la sua stessa metamorfosi in un lupo mannaro durante le notti di luna piena. Da questo incipit prenderà il via una storia di terrore e follia, un’incursione dell’irrazionale nella vita quotidiana del personaggio.
Il film affronta la tematica della trasformazione/duplicazione traumatica del corpo umano. Tematica antichissima che trae origine dal mito antico dell’uomo lupo fino ad arrivare al mito moderno del Jekyl/Hyde di Stevenson. Celebre la sequenza della trasformazione, una scena di puro orrore sulle note di Bad Moon cantata da Sam Cooke – da notare l’uso perfettamente integrato nella narrazione della colonna sonora. Gli stupefacenti effetti speciali curati da Rick Baker, che gli valsero un Oscar per il miglior trucco, usati per il Jack/Licantropo e per gli zombie, ci portano ad una visione quasi anatomica e documentaristica dell’atto della mutazione, instaurando nello spettatore un forte fattore di iper-realismo. La forza del film scaturisce proprio dall’accostamento di questo elemento di terrore quasi tangibile e il tono di comicità sopra le righe che permea l’intera narrazione. Ecco come la citazione all’inizio dell’articolo diventa così rilevante.
Grazie alla gestione pressoché perfetta dei tempi di montaggio, Landis riesce a far coesistere entrambi i generi – horror e commedia – persino all’interno della medesima scena e/o inquadratura. Il regista utilizza a questo scopo diversi registri comici: lo slapstick europeo, il british humor e infine il non-sense. I toni più scanzonati, o se volete demenziali del film possono essere accostati a due poli simili ma contrapposti: da una parte troviamo una vena spiccatamente comica, come il Polanski di Non mordermi sul collo del 1967 , dall’altra osserviamo una carica decisamente più parodica, prendendo come esempio Frankestein Junior di Mel Brooks del 1974. Piccola nota: nello stesso anno Joe Dante, amico di John Landis, dirige L’ululato, un piccolo gioiello horror legato a doppio filo con il film preso in esame.
FILMOGRAFIA ESSENZIALE: L’ululato di Joe Dante del 1981, Dog Soldier di Neil Marshall del 2002, In Compagnia dei Lupi di Neil Jordan del 1984, L’uomo Lupo di George Waggner del 1941.
Recensito da Andrea Ponzecchi