The Northman – Recensione

Written by Chiara Volponi

Maggio 19, 2022

The Northman Recensione

Le colpe dei padri ricadono sui figli”, recita una famosa citazione biblica. E anche se in The Northman, l’ultimo lungometraggio di Robert Eggers, di biblico c’è poco, il film si muove sullo stesso terreno ancestrale ed epico che unisce sangue, vendetta e vincoli familiari. Come acque in comunione con la terra, mari e fiumi che bagnano e inondano il suono secondo i flussi della storia e del destino.

Amleth (Alexander Skarsgård) è un principe vichingo spodestato dal trono a seguito del complotto ordito dallo zio per uccidere il padre, il re Aurvandil (Ethan Hawke), e impossessarsi del regno. Egli cresce in terre straniere con l’unico obiettivo di vendicare la morte del padre e liberare la madre, la regina Gudrún (Nicole Kidman) divenuta moglie e prigioniera del nuovo re. Quando una veggente (Björk) gli rivela in una profezia il suo destino, Amleth si imbarca verso il suo perduto regno d’Islanda fingendosi un prigioniero per mettere in atto il suo piano di vendetta. Nel tragitto incontra un’altra prigioniera, Olga (Anya Taylor-Joy) che diventerà sua alleata e amante, con l’obiettivo di riguadagnare la libertà.

Diviso in capitoli segnati da titoli in caratteri runici, The Northman segue una struttura lineare che articola il viaggio dell’eroe protagonista in un percorso segnato da battaglie, combattimenti e sfide che ostacolano la strada verso il suo obiettivo, arricchita da una sottotrama romantica che lo vede unirsi sentimentalmente alla sua astuta e affascinante alleata. La trama principale di azione e avventura è arricchita da incursioni di magia e stregoneria, rese anche visualmente da immagini simboliche e oniriche che si alternano a quelle della trama principale, mescolando la brutalità terrena del sangue alla nobilitazione metafisica di un ultraterreno Valhalla, tramutando in visioni le profezie che segnano il Destino dell’eroe. Un destino con la D maiuscola perché parte integrante della mitologia nordica e forza ineluttabile con cui Amleth deve fare i conti. Sono le donne a rappresentare per molti versi la controparte magica, tra la veggente dalle parole oscure e l’aspetto tenebroso, alla giovane Olga che prega e invoca la Madre Terra.

Sangue, vincoli familiari e vendetta sono gli elementi che costruiscono la trama di The Northman, modellandola sulla forma di prototipi celebri che spaziano dal dramma shakespeariano alla tragedia greca passando per la mitologia classica: Amleth è l’omofono principe shakespeariano nel suo obiettivo di vendicare lo spettro del padre; Ulisse nel viaggio di ritorno verso Itaca; l’Oreste della tragedia euripidea che ritorna ad Argo per vendicare il padre, ma è anche un guerriero vichingo dotato di una brutale forza fisica che lo rende feroce e crudele, quasi (volutamente?) grottesco nella sua postura incurvata e nel suo esagerato pathos, corroborato dalla scelta di usare battute in versi nella maggior parte dei dialoghi, che creano un contrasto opinabile tra l’apparenza fisica e l’espressione verbale. Un eroe che crede in una verità che è per lui l’unica possibile, ma che, in un mondo in cui la verità unica non esiste ed è perennemente frammentata e dispersa in mille diversi angoli e prospettive, deve fare i conti con la fallacità delle “storie che gli sono raccontate da bambino”. Ma nonostante la dura resa dei conti, l’eroe non sfugge al suo destino e decide comunque di abbracciarlo, in una difesa in parte vanagloriosa e orgogliosa degli ideali e delle convinzioni per cui era da sempre pronto a combattere. 

Robert Eggers e il co-sceneggiatore Sjón creano un’epopea di ambientazione vichinga che attinge a piene mani dalle rappresentazioni tipiche dell’epoca fornite da altri lavori di finzione, dipingendo un universo di sangue, rituali, profezie, sesso e violenza, in cui emerge la figura solitaria del protagonista, la cui sete di sangue e violenza è bilanciata dai lati positivi che vogliono crearne una figura con cui empatizzare, un eroe umano e in fondo buono come gran parte degli eroi del grande schermo. La maestosità dell’impianto scenico – anche con le scene in CGI che sembrano uscite dalle illustrazioni di un manuale New Age – è smorzata da sceneggiatura e dialoghi che si mantengono a livello superficiale, senza conferire tridimensionalità ai personaggi, che sembrano più dei tipi che giocano un ruolo precostituito, le cui motivazioni ed emozioni vengono sacrificate in nome della spettacolarità dell’azione.

Benedetta Mastronardi

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