Tratto dall’ omonimo romanzo di Ira Levin e riadattato da Polanski stesso, è il film che ha consacrato il Regista a Hollywood, ricevendo un Oscar per Ruth Gordon e una nomination per la miglior sceneggiatura adattata.
La pellicola ha inizio con dei titoli in rosa corsivo che, accompagnati da un’inquietante ninna nanna canticchiata, danno un effetto molto straniante. Essi sembrano essere seguiti da un normale idillio di una coppietta appena sposata alla ricerca di un nido, anche se sono già presenti alcuni particolari perturbanti nell’appartamento: ad esempio c’è un grande armadio che ostruisce l’ingresso a una porta e non se ne capisce inizialmente il perché. Rosemary, interpretata da Mia Farrow, bravissima con il suo visino angelico, non ha un’ occupazione e passa molto tempo da sola in casa, in particolare da quando il marito Guy, interpretato dal regista John Cassavetes, attore con problemi di carriera, ottiene una parte importante in seguito all’improvvisa cecità di un attore più famoso. Nel momento in cui il marito ottiene la parte Rosemary scopre di essere incinta. Da qui in poi da una situazione solo apparentemente idilliaca seppur cosparsa di indizi sempre più inquietanti si passa ad un crescendo di angosciosi presagi. Intorno a Rosemary una caleidoscopio di personaggi misteriosi ed inquietanti – i vicini di casa, i medici ed il marito il cui comportamento diviene di momento in momento sempre più indecifrabile.
Il genio di Roman Polansky sta nell’aver costruito un horror psicologico che ha al suo centro la convinzione di Rosmary di essere vittima di un demoniaco complotto ed allo stesso tempo aver caratterizzato Rosmary stessa come una donna resa fragile da una educazione rigidamente religiosa al limite della superstizione. Insomma protagonista del film è il forte conflitto tra interno e esterno: si pensa che sia in atto una grave congiura dall’esterno e come anche nelle altre pellicole dell’autore, una forte base di verità c’è, ma è dall’interno che il vero e proprio disagio mentale proviene, incancrenito ancor più a causa di un isolamento forzato che fa rompere del tutto gli argini che prima contenevano e delimitavano l’io. Anche se si prova a fuggire, oramai sembra essere troppo tardi e poi, mentre dagli altri si può fuggire, come si fa a scappare da se stessi?
ROSEMARY’S BABY
Sceneggiatura e Regia Roman Polanski
Dal Romanzo di Ira Levin
con Mia Farrow, John Cassavetes, Ruth Gordon
Usa 1968
Recensito da Massimo Smuraglia