“Raw”: i sentimenti vanno consumati crudi – Recensione

Written by Chiara Volponi

Luglio 27, 2021

RAW RECENSIONE – Quest’anno la 74° edizione del festival del cinema di Cannes, che si è svolta dal 6 al 17 luglio, ha premiato con la Palma d’oro come miglior film Titane della regista francese Julia Ducournau.
È la seconda volta nella storia del festival che il premio più importante viene assegnato a una donna (prima di lei, Jane Campion, regista di Lezioni di Piano, venne premiata nel 1993). La Ducournau, a soli 37 anni, è già riuscita a colpire nel segno, dopo solo due lungometraggi.

E se Titane è il film che l’ha portata sul podio, Raw, il suo primo film, è quello che l’ha fatta conoscere ed apprezzare su vasta scala. 

Raw, lungometraggio d’esordio della regista francese Julia Ducournau, presentato in anteprima a Cannes nel 2016, si impone nel panorama internazionale come uno dei pochi body horror d’autore. Non è certo l’unico film di genere degli ultimi anni che è stato in grado di attirare l’attenzione della critica, ma Raw tratta numerosi temi originali e apporta un’altrettanto originale prospettiva femminile, a cui il cinema horror è sempre stato poco abituato.

Raw è la storia di Justine (Garance Marillier), cresciuta vegetariana che con l’inizio dell’università nella facoltà di veterinaria sviluppa un’ossessione per la carne cruda, sia animale che umana.  Il film si apre con un primo incidente premonitore: durante il viaggio verso l’università, nel purè di Justine finisce per sbaglio un pezzo di carne, che la ragazza riesce però a evitare di inghiottire. Una volta raggiunta l’università, l’inizio dell’anno accademico è scandito da una serie prove di iniziazione, che danno il via ad un percorso rituale precostituito a cui le matricole devono sottoporsi per essere accettate a tutti gli effetti come membri della comunità studentesca. Durante la prima notte nel dormitorio vengono cacciati dai loro letti e costretti a strisciare carponi nel buio del seminterrato dell’edificio – in una scena surreale in cui i loro corpi che avanzano a tentoni nel buio ricordano gli zombie di Romero –, finché le porte non si spalancano e vengono gettati in un’orgia di corpi danzanti e luci stroboscopiche. Durante la festa, Justine incontra finalmente sua sorella Alex (Ella Rumpf), studentessa del secondo anno di veterinaria, che la trascina a visitare l’obitorio e le mostra le foto delle matricole, la cui faccia è stata cancellata, che si sono rifiutate di passare per la cerimonia di iniziazione. Il giorno seguente, dopo essere stati travolti da un’ondata di sangue/tintura rossa, Justine e gli altri sono costretti a mangiare qualcosa di palesemente disgustoso: trattasi, nello specifico, di reni di coniglio. Quando Justine tenta di rifiutarsi perché vegetariana, Alex la costringe a farlo.

L’episodio le causa un’intossicazione alimentare, di cui il primo effetto è un eczema su tutto il corpo. La dottoressa le consiglia di digiunare e mangiare solo cibi liquidi, ma Justine ha fame. Con la stessa ossessività con cui deve scorticarsi la pelle per placare il bruciore, sente anche che deve soddisfare il suo bisogno di carne, che cerca di controllare. La presenza degli animali, e i riferimenti agli stessi, d’altronde, sono una costante nella sua vita di studentessa di veterinaria. Ma non è solo la carne animale a interessarla.

L’istinto carnivoro combacia con il desiderio sessuale, carne e corpi sono ugualmente oggetti del desiderio. In particolare è Adrien, il suo compagno di stanza gay, a suscitare i suoi appetiti famelici. Il suo corpo asciutto e muscoloso, anche quando quando lo vede unirsi a quello di altri ragazzi, è un’immagine che, agli occhi di Justine – e attraverso i suoi, anche a quelli dello spettatore – diventa l’oggetto del piacere sessuale. 

In un crescendo di intensità, gli appetiti di Justine aumentano senza che la ragazza riesca – o provi – a controllarli: ruba un hamburger, ingurgita un kebab, divora carne cruda direttamente dal frigorifero, di notte, di nascosto. E poi, infine, passa alla carne umana.

Dopo un esilarante incidente in cui, mentre Alex tenta di farle una ceretta all’inguine (anche questa, a suo modo, un’iniziazione), Justine le taglia accidentalmente un dito, che finirà per assaggiare: diventa chiaro come lei e la sorella condividano molto più di quanto Justine immaginasse. Questo inizialmente non crea vicinanza, ma ostilità: entrambe sono affamate di sangue e di uomini e Justine vede Alex, già più grande e disinibita di lei, come una rivale che potrebbe, letteralmente, mangiarle il suo uomo.  

Adrien, dal canto suo, è un personaggio queer, che apre una breve parentesi su un mondo che non viene esplorato a fondo in Raw, ma che contribuisce ad ampliare le sfaccettature della tematica della ricerca della propria individualità e della propria identità sessuale.

Raw è tutto teso sul filo di un’ironia sotterranea che lo attraversa per intero e lo rende elettrico e elettrizzante; la versione cannibalistica del rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta è consapevole dei tropi e dei cliché associati al genere, e decide tuttavia di non prendersene gioco apertamente ma di creare una narrazione originale in cui la maestria della messa in scena e l’originalità della sceneggiatura, affiancate a delle interpretazione eccellenti, bastano da sole a creare un film unico ed innovativo.

Inoltre, in Raw, si inserisce un elemento che arricchisce la trasposizione horror del coming-of-age, e che sta nell’importanza del legame familiare. Il sangue non è solo quello delle lacerazioni causate dai morsi di Justine, ma è quello che scorre nelle sue vene e in quelle della sorella, lo stesso sangue. In una delle scene finali, le due si affrontano in un corpo a corpo animalesco, come cani rabbiosi in un combattimento di strada, si mordono il braccio a vicenda, creando un cerchio spezzato, che si ricongiunge in un abbraccio finale. Il loro legame si rivela più forte della rivalità femminile e della gelosia, e diventa di centrale importanza per il film, più della carne fresca e dei corpi che accendono i loro appetiti.

Raw declina il mostruoso femminino in una prospettiva genuinamente femminile, che non riduce il primo a mero strumento di intrattenimento per lo spettatore, e si spinge fino ad includere, in un’ottica intersezionale, la questione del confine tra animale ed umano. In una conversazione con i suoi compagni di corso, Justine sostiene che una scimmia stuprata soffra tanto quanto una donna che subisce la stessa violenza, suscitando le occhiate ostili di un gruppo di ragazze presenti. E significativa è anche la frase perentoria pronunciata dal padre: “Se un animale assaggia la carne umana e gli piace, morderà di nuovo’’. La domanda più ampia in fondo, non è solo relativa alla differenza tra istinti umani e animali, e tra carne umana e animale, ma quale sia la differenza tra un animale e un essere umano. In cosa sta tra la mostruosità di un atto che viene considerato innaturale, o meglio, inumano? Forse l’unica risposta su cui tutti sembrano trovarsi d’accordo – compresi gli spettatori che pare abbiano dovuto abbandonare la sala durante la visione – è, che sia essa animale o umana, mangiare carne cruda è rivoltante. Tutto si riduce a un gesto capace di suscitare a un livello viscerale orrore, disgusto, repulsione, anche ipocritamente, perché se la forma cambia, la sostanza rimane sempre la stessa. Un gesto immediato che rimanda tutto alla fisicità, all’immediatezza, che non lascia spazio per una giustificazione o una spiegazione. C’è chi però non la pensa proprio così. C’è chi crede che i sentimenti vanno consumati e mostrati crudi, e riesce a farlo anche al cinema.

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