
Per la rubrica in collaborazione con la piattaforma streaming horror HODTV oggi proponiamo la recensione di Sinister, presente in catalogo su https://hodtv.net/?idPr=WH96P.
Sinister: quando la paura rivive attraverso le immagini.
È così che potremmo definire in breve questo film del 2012, scritto e diretto da Scott Derrickson (L’esorcismo di Emily Rose, Doctor Strange) e prodotto da Jason Blum, fondatore della famosa casa di produzione Blumhouse, che ha dato alla luce alcuni dei maggiori successi horror degli ultimi anni, come il franchise di Paranormal Activity.
Ellison Oswalt (in terpretato da Ethan Hawke) è uno scrittore di storie vere di cronaca nera, divenuto famoso dieci anni prima per il libro Kentucky Blood, ma ormai ricaduto nell’anonimato. Speranzoso di ottenere di nuovo il successo che lo porterà alla notorietà, si trasferisce insieme alla sua famiglia in Pennsylvania, in una casa nella quale è avvenuto il terribile omicidio della famiglia Stevenson, morta per impiccagione e la scomparsa della figlia più piccola. È proprio su questo fatto di cronaca nera che Ellison scommette tutto, decidendo di scrivere un nuovo libro per ricondurlo alla fama, il tutto all’insaputa della sua famiglia, alla quale non ha raccontato il motivo del trasferimento.
Ed è proprio durante le ricerche sulla famiglia assassinata che, nella soffitta, Ellison trova una scatola di filmini amatoriali che rivelano agghiaccianti dettagli sull’omicidio della famiglia Stevenson. La scoperta di questi filmati condurrà Ellison verso un’indagine orrorifica e paranormale che coinvolgerà la sua famiglia.
Il discorso attorno al quale ruota il film, ha a che fare con la memoria ed il recupero di essa per mezzo dei filmati amatoriali, quelli che nel film sono contrassegnati sulla scatola con la definizione di home movies. Come si sa, i found footage, soprattutto in un contesto come quello del cinema horror, hanno la funzione di rendere ancora più realistico e credibile ciò che lo spettatore sta vedendo, dando un’impressione di veridicità e di effettiva testimonianza, permettendo allo stesso tempo un maggiore coinvolgimento. Un altro aspetto da considerare è la qualità dei film amatoriali: così come avviene in Sinister, la qualità dei filmati è bassa, poiché girati in Super 8. La qualità delle immagini è fondamentale all’interno del genere horror, perché una minore chiarezza delle immagini può generare un senso di inquietudine ed insicurezza.
I found footage occupano gran parte della trama del film, dando vita anche ad un discorso metacinematografico: sono moltissime le scene in cui il protagonista siede da solo al buio nel suo studio dove proietta le immagini ritrovate, diventando spettatore a sua volta e creando così una due sguardi differenti: quello dello spettatore su Ellison, e quello di Ellison sui filmati. Questo gioco viene continuamente riproposto dando vita ad un’immedesimazione profonda con il protagonista, che proprio come lo spettatore in sala diventa un osservatore passivo e subisce in maniera letterale le immagini che vede, diventandone vittima.
Vi sono più tipi di schermi all’interno del film. Si ha, come appena detto, il proiettore sul quale vengono mostrati i found footage; si ha la televisione, nella quale vediamo le vecchie interviste di Ellison; si ha infine lo schermo del computer, tramite il quale avvengono le conversazioni tra Ellison ed il professore universitario. Tre schermi, tre supporti diversi, tre tipi di immagini diverse: Super 8, VHS, computer. Nel film l’importanza dei supporti è fondamentale, sia per l’effetto che questi hanno sullo spettatore e sul protagonista, sia per l’effettivo svolgimento della trama.
Il protagonismo dei filmati amatoriali in Sinister rende centrale l’aspetto del voyeurismo e delle conseguenze orrorifiche che ne conseguono: i filmati di famiglia si trasformano in veri e propri snuff movies, e sia il protagonista, sia lo spettatore ne sono al tempo stesso incuriositi e impauriti. È proprio dalla scopofilia del protagonista – ed in un certo senso anche da quella dello spettatore – che nascerà il male e perseguiterà Ellison e la sua famiglia.
È il male che rivive attraverso le immagini, ma per tornare alla vita non bastano le immagini da sole, proprio come per il cinema, si ha bisogno di uno spettatore per far rivivere emozioni ed orrori, e così avviene nel film.
Al di là del concetto chiave delle immagini recuperate, per ciò che riguarda l’aspetto tecnico, il film segue molto bene le angosce del protagonista e della sua famiglia. La fotografia riflette alla perfezione lo stato di inquietudine nel quale si trova la famiglia nella casa afflitta dall’orrore dell’omicidio avvenuto: anche nelle scene diurne l’interno della casa rimane molto scuro, come se la luce del giorno non riuscisse a penetrare nell’abitazione, che è ormai segnata da una grave maledizione. La fotografia pertanto riesce a seguire la trama del film e contribuisce a creare un’atmosfera di inquietudine costante, anche in momenti apparentemente innocenti.
Altro aspetto fondamentale di Sinister, e ciò che contribuisce a creare la corretta atmosfera per il film, è la colonna sonora. Le musiche, soprattutto durante la visione dei filmati di famiglia, danno un’impressione di distorsione elettronica, e questa sorta di disturbo nella colonna sonora aumenta a sua volta la sensazione di disturbo nello spettatore.
A livello registico è stata compiuta una scelta intelligente per quanto riguarda i found footage. I filmati di famiglia infatti riescono a mantenere, nonostante la loro natura, un certo grado di cinematograficità, e questo rende le scene in cui vengono mostrati questi filmati piacevoli sotto un punto di vista puramente artistico. Un esempio, come detto sopra, è dato dal fatto che nella maggior parte dei casi i found footage non hanno colonne sonore che li accompagnano, mentre in Sinister si ha una forte presenza delle musiche durante queste scene. Pertanto, questo non è un film sui found footage, ma un film su un uomo che trova dei found footage.
Sinister gioca su più livelli di paura: c’è quella data dall’atmosfera/regia, creata attraverso le già citate colonne sonore e fotografia; c’è quella dei found footage, che portano con sé un alto grado di scopofilia, del sentirsi sbagliati nel vedere ciò che si sta vedendo, e che quindi gioca molto sul senso di colpa; infine c’è la paura del protagonista, la paura di non essere riconosciuto, di non contare nulla, ed è proprio questa paura che lo conduce verso un destino nero. È proprio nella persistenza delle immagini che si disvela il male, ed è anche ciò che rende il film interessante, perché attua una riflessione, più o meno diretta, che va al di là di un semplice film horror sul paranormale.
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