
Per la rubrica in collaborazione con la piattaforma streaming horror HODTV oggi proponiamo la recensione de Il caso Anna Mancini, presente in catalogo su https://hnet/?idProdt=WH96Pv.
Il caso Anna Mancini – Recensione. Mistery horror tutto italiano del 2016 è diretto da Diego Carli.
Della durata di circa 70 minuti viene girato con la tecnica del found footage, in cui ogni avvenimento è narrato attraverso immagini recuperate ora da cellulari e cineprese amatoriali, ora da telecamere di sorveglianza.
Il lungometraggio è incentrato sulle vicende di un giornalista, Marco Bressan (Paolo Rozzi) e del suo cameraman, Roberto Zanchetta (Emiliano Verzè) che indagano sulla scomparsa di una bambina e di un incidente capitato nello stesso giorno ad un suo compagno di scuola, Leonardo, unico amico della Mancini. La loro ricerca li porterà al centro di una vicenda spaventosa in cui si mescolano demoni precristiani, messe nere e riti ormai dimenticati che continuano a svolgersi indisturbati nel territorio del Veronese.
Il film si apre, anticipando i titoli di testa, con due amiche in videocall dopo un emozionante concerto. I toni della conversazione sono resi oscuri dai glitch della piattaforma che si fanno insistenti e lasciano intravedere immagini spaventose non appena le due nominano “Anna Mancini” (Angelica Meneghello), loro compagna di classe.
Dal buio dello schermo in seguito appare il warning tipico dello stile found footage:
“Nel 2014 la comunità di Monteforte d’Alpone fu sconvolta dalla misteriosa scomparsa di una ragazzina di dodici anni. Due giornalisti locali decisero di condurre le ricerche autonomamente, riuscendo a recuperare una vasta quantità di materiale. Interviste e filmati fatti con i cellulari dagli stessi compagni di scuola che gettano un’ombra inquietante sulla vicenda. Questo documentario è stato realizzato usando tutte le informazioni raccolte dai due reporter che hanno contribuito a ridestare l’interesse verso il caso Anna Mancini.”
Film a basso budget, con la presenza sia di attori professionisti che allievi di scuole di recitazione, è un ottimo prodotto sia sotto il punto di vista della trama che è ben costruita, con sequenze che non sono mai inconsistenti o insensate, sia sotto il punto di vista orrorifico, con scene la cui tensione angosciosa si trasforma in un climax di vera e propria paura.
Interessante la scelta linguistica, con gran parte del verbale del lungometraggio girata in dialetto veneto, tra insulti, proverbi e conversazioni informali.
Il colpo di scena finale è sicuramente riuscito ed inaspettato, ed aiuta a chiudere l’arco narrativo che riguarda la parte più folkloristica della città di Monteforte.
Gli effetti speciali non sono molti e sono utilizzati in modo parsimonioso, con espedienti retorici volti a giustificarne la qualità, ma che non vanno mai ad inficiare sulla riuscita del prodotto finale.