
L’autopsia – Terzo episodio di Cabinet of Curiosities
Autopsia: dal greco “vedere da sè”, “con i propri occhi”. Se l’etimologia del termine rimanda ad un’importanza della componente visiva, l’episodio diretto da David Prior si fonda sulla narrazione. L’evento che dà il via alla vicenda viene raccontato al protagonista da un altro personaggio, in un lunghissimo prologo che occupa metà del mediometraggio. Solo nella seconda parte assistiamo effettivamente all’autopsia del titolo, per arrivare ad un finale che di nuovo si perde in una narrazione prolungata e poco accattivante. In sostanza, spiegoni su spiegoni laddove ci si dovrebbe basare di più sulle immagini.
L’episodio risulta un miscuglio di scene piene di esplosioni, sguardi malefici e corpi putrefatti, per raccontare una storia di alieni/zombie che finisce per auto-annullarsi nella morte di tutti i personaggi in scena. Un epilogo che lascia lo spettatore con nulla a cui aggrapparsi, se non il prossimo episodio.
Ciò che c’è di positivo è sicuramente la presenza di Murray Abraham (Don Salieri in Amadeus), che raffigura un personaggio convincente, tranne nel finale delirante in cui si convince di doversi amputare occhi, orecchie e altro. Finale in cui esplodono dubbi effetti visivi che di nuovo rappresentano il bisogno di distrarre lo spettatore da ciò che si racconta. E si, stavolta la componente visiva è preponderante, ma nel modo sbagliato. Il personaggio di Abraham si trascina attraverso un’indagine di cui lo spettatore prevede già il finale, e ciò concorre a rendere il tutto poco interessante.
Andare a fondo nella ricerca della verità, aprendo i cadaveri e studiandone gli organi interni, è un processo obbligatorio ma superfluo per lo spettatore che già intravede gli sviluppi. In conclusione, l’episodio è lo studio di un cadavere di cui sappiamo già la causa della morte.
Siamo ora al quarto mediometraggio di Cabinet of curiosities, serie prodotta da del Toro.
Ana Lily Amirpour costruisce una storia che sa di già visto, dal titolo perfetto. L’apparenza è infatti ciò su cui si fonda la società moderna, sembra dirci la regista. Una società di individui deumanizzati, vuoti e falsamente mantenuti belli come degli animali imbalsamati. Discorso che, se da un lato appartiene perfettamente al 21° secolo, dall’altro è già stato ampiamente e meglio trattato. E in questo caso non si riesce ad andare oltre alla superficie del discorso: l’omologazione, il prodotto magico in grado di trasformarti completamente, la perdità del sé.
I dialoghi sono didascalici e ripetitivi, la caratterizzazione dei personaggi approssimativa e eccessivamente ridicola. The neon demon aveva trattato meglio il tema della bellezza, Videodrome quello della televisione, per citare due esempi che possono venire in mente nel corso della visione.
L’apparenza è un prodotto che vive esattamente di ciò che critica. Una storia che non ha nulla da dire, impreziosita da nastrini, luci accattivanti e un piano sequenza iniziale grossolano. Dal lato visivo, non si riesce neanche a spingere troppo sul fattore horror e grottesco.
Non bastano alcune soluzioni di messa in scena e fotografia a salvare questo episodio. Il filtro fotografico che deforma la realtà come un falso specchio, e alcune inquadrature in cui la protagonista è ai margini dello schermo rispetto agli altri personaggi sono solo dei barlumi in un mare di noia e banalità. Un mediometraggio per cui non basta una crema magica (la firma di Del Toro e della Amirpour, regista comunque interessante) ad elevarlo.
LEGGI QUI LE RECENSIONI DEI PRIMI DUE EPIOSDI DELLA SERIE!